La civiltà umana è sull’orlo del collasso a causa della minaccia dei Vek, gigantesche creature simili a insetti che emergono dalle profondità della terra. L’unica possibilità dell’umanità risiede in una squadra di potenti Mech che possono essere mandati indietro nel tempo dal futuro per tenere a bada questi mostri prima che possano conquistare il mondo: in caso di fallimento, il loro miglior pilota può essere inviato in una timeline alternativa e provare ancora, nel disperato tentativo di salvarne almeno una.
No, non si tratta del soggetto dell’ultimo film di fantascienza in uscita nelle sale: stiamo parlando di Into The Breach, un eccellente gioco di strategia basato su turni sviluppato da Subset Games: si tratta dello stesso team di sviluppo che ha prodotto nel 2012 il meraviglioso e pluri-premiato Faster Than Light, meglio noto come FTL, ad oggi considerato uno dei più grandi Real-Time Strategy rogue-like di tutti i tempi: non a caso, è uno dei pochi giochi a detenere a tutt’oggi un punteggio di 10/10 (perfect score) su Steam.
Into The Breach è dunque la loro nuova creatura, rilasciata su Steam meno di un mese fa (27 feb 2018) e già in testa alle classifiche più vendute dei videogiochi appartenenti alla sua categoria e non solo. Si tratta, come detto, di uno strategico a turni, che prende elementi dai classici monster-movie come Godzilla, Cloverfield e (soprattutto) Pacific Rim, mescolandoli con un elemento della fantascienza classica che è tornato molto in voga nell’industria audiovisiva degli ultimi anni (Edge of Tomorrow , Re:Zero et al.): la possibilità di “tornare indietro” nel tempo ripetutamente, al fine di porre rimedio a una situazione che sembra disperata.
Tecnicamente parlando stiamo parlando di un gioco di strategia a turni che include anche diversi elementi tattici: il giocatore ha il compito di formare la propria squadra di Mech, ovvero robot da combattimento – ciascuno con il proprio set di abilità, armi e caratteristiche – e affrontare una serie di sfide crescenti / scenari di difficoltà crescente. Come sempre, proprio come la maggior parte dei giochi di strategia a turni, la gestione delle mosse, le abilità di controllo della folla e una grande conoscenza del gioco e della meccanica di combattimento saranno le chiavi più importanti per avere successo: tuttavia, il gioco si contraddistingue per una serie di caratteristiche interessanti e (cumulativamente) innovative, appositamente studiate per portare anche i giocatori più esperti fuori dalla propria comfort zone.
La caratteristica principale di Into The Breach è sicuramente l’effetto di morte permanente (permadeath), che il gioco riesce a implementare in modo tremendamente efficace attraverso tre regole tanto semplici quanto “spietate”:
- Se uno dei piloti viene ucciso sul campo, muore: non sarà possibile curarlo, resuscitarlo o riportarlo indietro. Ovviamente, questo vuol dire anche che tutte le esperienze e abilità ottenute saranno perse per sempre. A ben vedere, la morte permanente dei protagonisti non è una novità nel genere TBS: molti giochi di successo, a partire dal capolavoro del 1994 Ufo: Enemy Unknown di Microprose e fino al suo degno successore XCOM di Firaxis nel 2012. Il profondo senso di frustrazione di aver perso definitivamente un membro della squadra – o persino di una squadra intera – contribuiva a incrementare la tensione – ed era quindi parte integrante del divertimento – di questi giochi: del resto, al giocatore venivano dati anche alcuni strumenti che consentivano, non senza fatica, di recuperare la partita anche a seguito di sconfitte drammatiche. Non è questo però il caso di Into The Breach, dove al contrario…
- La prima sconfitta sul campo provoca il GAME OVER immediato. La squadra di Mech inviati dal futuro rappresenta l’ultima speranza della terra in senso letterale: nel momento in cui viene sconfitta, il mondo intero – energia, popolazione, ecosistema e qualsiasi altra cosa – viene distrutto a sua volta. Al giocatore viene data soltanto la possibilità di recuperare un singolo pilota e di riportarlo “back to the future“, dove potrà essere impiegato per una nuova missione in una nuova timeline… Ovvero una nuova partita a tutti gli effetti. Non è prevista alcuna rivincita, e l’unica “pietà” che ci viene offerta ha l’amaro sapore di un disaster recovery parziale: un singolo sopravvissuto, con il suo bagaglio di esperienze fatte e/o pregresse. A dir poco punitivo, verrebbe da dire! Al tempo stesso, non si tratta di una meccnica particolarmente nuova: la sudden death del singolo scenario rappresenta una eventualità piuttosto tipica del genere turn-based. Fortunatamente, però, questo tipo di giochi dà al giocatore la possibilità di “salvare” i propri progressi, così da poter ricaricare in caso di disfatta… Il più grande tra i poteri degli esseri umani, come insegna il Undertale (se non sapete di cosa si tratta, fatevi un favore e correte ad acquistarlo! Non ve ne pentirete di certo). Sfortunatamente per i protagonisti di Into The Breach, però…
- Non c’è modo di salvare. O per meglio dire, è possibile salvare soltanto una posizione, relativa alla timeline che si sta giocando, la quale viene peraltro memorizzata in tempo reale proprio per impedire ogni sorta di possibile reload, anche sotto forma di chiusura “improvvisa” del gioco: poiché l’unica possibilità che ci viene data è il Save and Quit, non c’è dunque alcun modo di crearsi dei backup/restore point. Questo significa che non c’è nessuna rete di sicurezza sotto i nostri piedi, e che ogni volta che le cose vanno male – e che la nostra squadra viene sconfitta – non potremo fare altro che recuperare un singolo pilota e ricominciare una nuova partita. L’unico piccolo vantaggio che il gioco ci darà è quello di poter partire da un’isola diversa tra le quattro disponibili, a patto però di essere riusciti a completarla almeno una volta – in altre parole, in una precedente timeline.
La “impietosa” sinergia di queste tre regole ha un impatto psicologico estremamente forte e rende l’esperienza di gioco pressoché unica nel panorama dei videogiochi strategici a turni: la consapevolezza che qualsiasi errore può comportare la fine immediata della partita rende gli scontri incredibilmente tesi e, proprio per questo, entusiasmanti. Basti dire che il gioco non offre neppure la possibilità di tornare indietro una mossa (il classico undo): l’unico roll-back consentito è sulla fase di movimento di ciascun Mech, una rara concessione che imparerete ben presto ad amare.
Ovviamente, questo tipo di meccanica “rewind” può comportare anche un certo livello di frustrazione, soprattutto a livelli di difficoltà normal e hard. Per mitigare questo aspetto, gli sviluppatori hanno implementato un algoritmo di generazione casuale che rende ogni partita completamente unica e irripetibile: le isole, le mappe, la composizione degli avversari, gli oggetti recuperati… In questo modo, il giocatore può contare su una serie di sfide sempre diverse, facendo via via tesoro dell’esperienza accumulata negli scontri e/o nelle timeline precedenti: la capacità del gioco di non annoiare nel corso delle varie timeline è confermata dalla quasi totalità dei giocatori, che nelle loro recensioni (9/10 su Steam attualmente) descrivono la learning curve del gioco come pressoché perfetta.
Le sfide poste ai giocatori all’interno delle varie mappe non sono mai banali e, a dispetto del movimento casuale dei nemici, saranno in grado di mettervi spesso a dura prova senza (quasi) mai precludervi del tutto le possibilità di successo: i giocatori meno inesperti capiranno ben presto che il gioco ha fortissimi elementi tipici dei puzzle logici che non dei wargame in senso stretto: la micro-gestione delle unità e delle varie azioni disponibili – spostamento, spawn-blocking, blocco del corpo, schermatura, fuoco armi e così via – va infatti impostata seguendo un giusto mix tra posizionamento e controllo della mappa, facendo grande attenzione a tenere bilanciati i due aspetti.
Nonostante il tema mechs vs aliens, il gioco costringe spesso a ragionare in termini di blocchi di scorrimento (sliding blocks): impilare, spingere, tirare, incatenare e – alla fine – sconfiggere gli avversari con una serie di incastri millimetrici da studiare turno per turno: il movimento casuale dei nemici consente infatti una capacità predittiva relativamente bassa, che va compensata con un assetto tattico efficace e versatile per ogni singolo round. Non scoraggiatevi se la mancanza di esperienza vi farà perdere qualche timeline: imparare ad alternare correttamente il controllo e la posizione dei propri mezzi per rispondere in modo adeguato ai tipici modelli di movimento e attacco del nemico darà grandissime soddisfazioni.
Per concludere: secondo l’opinione di chi scrive, Into The Breach è un degno successore del grandissimo FTL. Tra gli aspetti degni di nota e non ancora menzionati, vi è il fatto che il gioco non nasconde nulla al giocatore, che è sempre perfettamente in grado di comprendere cosa succederà di a poco: dove compariranno e/o attaccheranno i nemici, cosa succederà alla mappa, e così via. Al di là degli aspetti casuali legati al movimento degli avversari, la sensazione è che la battaglia – e quindi l’intera partita, nonché il destino del mondo – sia interamente nelle mani del giocatore e della sua esperienza.
se proprio si può muovere una critica al gioco, il comparto grafico poteva essere realizzato meglio: non siamo di fronte a un capolavoro pixel-art, e la mappa può risultare a tratti piuttosto confusa (soprattutto giocando a schermo intero). Gradevole ma non indimenticabile il comparto musicale, affidato alla creatività di Ben Prunty (autore anche della colonna sonora di FTL).
Al di là di questi aspetti, fortunatamente del tutto secondari, il gioco è praticamente perfetto e non può non piacere a tutti gli appassionati di TBS, logical puzzle game, giocatori di Board-game e non solo: l’unica raccomandazione da seguire è accertarsi di scegliere la difficoltà più adatta alle proprie esigenze (ovvero al proprio tasso di sopportazione): personalmente io mi sono buttato immediatamente sulla difficoltà hard, riuscendo – dopo circa undici ore di gioco e cinque timeline – ad avere la meglio sui Vek con il percorso completo: tutte e quattro le isole + sfida finale.
Ecco una screenshot che mostra i miei risultati al termine della campagna:
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