Quale ragazza non ha sognato almeno una volta di incontrare di persona il proprio idolo?
Non ci siamo chieste tutte cosa accadrebbe se il ragazzo raffigurato sul poster nella nostra cameretta si palesasse, in carne ed ossa, davanti ai nostri occhi?
E se avessimo l’occasione di conoscerlo un po’?
Se poi, alla fine, anche lui, la nostra star del cuore, ci trovasse fantastiche?
Mettersi insieme sarebbe il meritato lieto fine? O solo l’inizio dei problemi?
“Forever Young” è il nuovo romanzo di Alessandra Montrucchio, uscito nella primavera del 2017 per edizioni Feltrinelli. I protagonisti di questa storia, ambientata nell’anno 1982, sono due giovani che, sulla carta, non potrebbero essere più diversi: Mia, diciassettenne torinese proveniente da una tranquilla e apprensiva famiglia borghese, e Alex, ventunenne tedesco, scappato di casa anni prima, con alle spalle un’adolescenza durissima vissuta nelle strade di Berlino Ovest ed un presente di stella emergente della musica.
Mia si invaghisce di Alex attraverso una canzone ed un videoclip e poi, quando le si presenta l’occasione di trascorrere l’estate a Berlino, avviene l’incredibile: Mia e Alex si incontrano, si conoscono e si innamorano. Ma questo è solo l’inizio. All’ombra del Muro che, all’epoca, divideva artificialmente Berlino ed i suoi abitanti in due segmenti separati, Mia e Alex dovranno trovare la forza e la maturità di superare i muri simbolici che la società, l’età e i rispettivi ambienti hanno eretto tra di loro ma soprattutto trovare il coraggio di superare la paura di non essere all’altezza l’uno dell’altra.
Abbiamo avuto l’occasione ed il piacere di rivolgere alcune domande all’autrice, Alessandra Montrucchio, ecco a voi l’intervista che ci ha concesso:
Hai definito Forever Young “una storia per adolescenti”. Nel libro c’è, però, molto più che il racconto di un amore tra due giovani. La relazione di Alex e Mia vive all’interno di un contesto storico-culturale preciso che influenza fortemente le loro vite. La storia dei due protagonisti e la Storia con la S maiuscola si sviluppano e vengono approfondite di pari passo. Non è, quindi, semplicemente una “teen novel”
«Ovviamente lo spero, che quella di Forever Young non sia solo una storia d’amore per adolescenti! Se così è, devo anche ringraziare la Feltrinelli che, quando mi ha chiesto il libro, mi ha anche chiesto di ambientare la storia in un contesto storico-sociale credibile. E la Berlino del Muro è stata la mia scelta immediata e istintiva. Amo molto Berlino, anzi, mi sono innamorata di quella città quando il Muro c’era ancora. La conosco abbastanza bene – ho un appartamento e molti cari amici, lì – e l’ho sempre trovata una ambientazione ideale per delle storie. Infatti l’ho già usata altrove. E poi, man mano che creavo il personaggio di Alex, avevo l’impressione che il suo carattere fosse intrinsecamente legato, quasi dipendente da Berlino, dal Muro, dal romanticismo e dal dolore di quella città in quell’epoca. Così è nato tutto insieme: Alex, il suo rapporto sofferto con se stesso e col mondo, Mia e la scoperta dell’età adulta attraverso la scoperta della città. Senza contare che molte delle cose che succedevano allora a Berlino – le fughe oltre cortina di ferro, le lotte di strada, eccetera – erano l’ideale per colpi di scena, svolte della trama… Insomma per un romanzo».
Tra l’altro, il leitmotiv di questo romanzo sembra essere “il Muro”, non solo quello di Berlino, ma il concetto stesso di muro: tutte le divisioni e le barriere che ci vengono imposte dalla società o che ci costruiamo noi stessi e che dobbiamo superare per vivere come desideriamo. Non a caso “Wallness” è il titolo della canzone grazie alla quale Alex raggiunge il successo.
«Sì, esattamente. I muri fuori e dentro. Quando dicevo che il carattere di Alex è intrinsecamente legato a Berlino, intendevo proprio questo. Lui è un ragazzo che si è costruito intorno un muro decisamente impervio e Mia riesce, piano piano, come dire?, a “picconarlo”. Senza contare che il muro mi sembra anche un simbolo dell’amore contrastato. Insomma, senza disturbare Piramo e Tisbe o Romeo e Giulietta, non c’è coppia di “amanti segnati dalle stelle” che non sia stata divisa da un muro reale e/o metaforico, no?»
E’ la seconda volta che ambienti un tuo romanzo negli anni ’80. “Macchie Rosse” raccontava di un gruppo di ragazzi in vacanza sulla riviera adriatica nell’estate del 1984. Forever Young si svolge nel 1982. Che significato ha, per te, quel periodo?
«Gli anni Ottanta sono importantissimi per me. Sono stati il periodo della pubertà, dell’adolescenza e della formazione, per me che sono nata nel 1970, e, per quanto moltissimi li denigrino, forse a ragione, non riesco a non amarli e a non ritenerli un’epoca fondamentale. Forse è il caso di specificare che per me i “veri” anni Ottanta sono i primi, fino all’84 circa: gli anni legati al punk e alle sperimentazioni culturali e musicali di fine anni Settanta… ecco, la musica: i primi anni Ottanta sono stati meravigliosi, pieni di sperimentazione, tanto che perfino la musica da classifica era almeno parzialmente impegnata: se pensi ai Bronski Beat, che arrivavano al numero 1 parlando di diritti omosessuali… ed era un’epoca un po’ decadente, cinica e parecchio libera. Se un cantante o anche un ragazzo si vestivano “strani” e si truccavano, se si vestivano tutti di nero o si ricoprivano di metallo… era normale, non venivano automaticamente etichettati. Io non riesco a non pensare ai primi anni Ottanta come a un’epoca segnata da un profondo pessimismo esistenziale (hai presente i testi dei Joy Division, dei New Order?) ma anche da una fortissima ricerca interiore, oltre che artistica. Caratteristiche che si sono poi perse nell’appiattimento dei secondi anni Ottanta (per dire, in campo musicale, con una Madonna, che ha trasformato la trasgressione in marketing, o un Bruce Springsteen, che ha imposto il modello del ragazzone sano, a livello planetario) e nel perbenismo degli anni Novanta. Anche in letteratura… Tondelli ha scritto negli anni Ottanta, come il migliore De Carlo. McInerney ha esordito negli anni Ottanta. Mi rendo conto della parzialità di questo punto di vista, ma non posso fare a meno di sentirmi in questo modo, riguardo a quell’epoca».
La storia di Mia e Alex sarebbe stata la stessa se fossero stati due ragazzi del 2017?
«Credo che oggi sarebbe stata una storia molto diversa. Probabilmente sarebbero stati diversi loro, soprattutto lui: sarebbe cresciuto in una Germania e in una Berlino diverse, con disagi diversi, droghe diverse, un mercato musicale diverso e uno spirito di protesta diverso. E la loro storia a distanza sarebbe stata senza dubbio influenzata da una diversa e assai più ampia possibilità di comunicazione: cellulari, WhatsApp, nessuna necessità di comunicare passando per il telefono di casa e i genitori, l’opportunità di “vedersi” su Skype – tanto per nominare le prime cose che mi vengono in mente. Mia forse sarebbe stata più o meno la stessa (una borghese torinese nel 1982 credo non fosse molto lontana da una borghese torinese del 2017) ma sicuramente sarebbe stata una fan molto diversa: oggigiorno sarebbe andata su YouTube e avrebbe guardato e ascoltato Alex quanto, quando e come voleva; altro che aspettare ansiosamente un video in tv o un’ospitata a Discoring. Si sarebbe “disamorata”, potendo saziare così facilmente il sentimento per il suo idolo? Preferisco non chiedermelo».
Alex è tormentato dai sensi di colpa. Non solo quelli che sono propri della sua storia personale ma sembra portare il peso anche della vergogna della sua generazione, i figli della Germania nazista. La Musica degli anni ’80 e poi anche dei ’90 era piena di questi sentimenti oscuri: sentirsi indegni, sbagliati, persi. Sono temi ancora attuali per i ragazzi di adesso? Secondo te che cosa canterebbe Alex Winter se fosse una star di questo decennio?
«Non conosco bene i ventenni di oggi, quindi non sono sicura di poter rispondere alla tua domanda. Nella mia esperienza, i tedeschi è come se nascessero sentendo il peso di un “peccato originale” sulle spalle: la Shoah è qualcosa di cui, in qualche modo, si sentono colpevoli anche persone nate, per dire, negli anni Settanta, figlie di genitori nati negli anni Cinquanta. Per cui, forse, un musicista tedesco di oggi scriverebbe anche lui “Wallness”. Seguo poco la musica contemporanea, ma ciò che mi pare emergere in generale (vado a sensazioni, eh?, quindi ciò che dico va preso con le pinze) è la rabbia verso il mondo, i politici, la società. Forse era inevitabile, in un’epoca di disastri ecologici causati dall’uomo (in primis occidentale), di politica pusillanime, di terrorismo eccetera. Il male è sentito fuori dall’uomo. Nella musica anni Ottanta / primi anni Novanta, il male era sentito dentro l’uomo. Alex è un personaggio anche troppo consapevole che il male ce lo portiamo dentro e sta a noi scegliere di lasciarlo dov’è, non tirarlo fuori; il suo dramma è che lui crede di non poter far altro che tirarlo fuori, invece. Non so se lui, oggigiorno, se la prenderebbe più con la Merkel o Trump che con i propri demoni. Tutto sommato, credo che continuerebbe a parlare dei demoni».
Mia è una ragazza borghese tranquilla e diligente. A differenza delle sue amiche non si entusiasma facilmente, è seria e saggia. Però, inaspettatamente, le capita una cosa irrazionale come innamorarsi perdutamente di un cantante che conosce solo attraverso i media. Tu che cosa pensi di lei? E che consiglio le daresti?
«Sì, Mia è una ragazza razionale, ma soprattutto è matura per la sua età. Da qui il suo disagio con i coetanei. E poi le capita qualcosa di totalmente imprevedibile e imprevisto, qualcosa per lei sommamente stupido come prendersi una cotta per un “irraggiungibile”; anche in questo però un pochino si distingue: se è vero che l’innamoramento scatta quando vede Alex per la prima volta in un video, è anche vero che lei già amava la canzone di Alex e, soprattutto, l’aveva davvero capita. Insomma, perfino nella sua “stupida” cotta per un cantante c’è qualcosa di profondo, fin dall’inizio. Dopodiché, la storia d’amore con Alex è sicuramente un percorso di ulteriore e autentica maturazione, per lei, ma credo che questa maturazione avvenga innanzitutto attraverso l’aiuto e la comprensione che offre ad Alex, attraverso l’opportunità di maturare che proprio lei offre a lui. Alex la salva dalle percosse durante una lotta di strada e la salva quando viene investita da un’auto, ma credo che, in realtà, sia fondamentalmente Mia a salvare lui. Non credo che abbia bisogno di nessun consiglio, specie da una immatura sentimentale come me».
La madre di Mia dice alla figlia che “l’amore non basta, ci vuole dell’altro”. Tu come la pensi? Due persone, anche se si amano davvero, possono rendersi infelici?
«L‘amore non basta… credo che la madre di Mia intenda semplicemente che, per costruire una vita insieme, tutto l’apparato chimico-romantico dell’innamoramento (le gambe molli, il batticuore, il desiderio fisico, eccetera) non serva a un bel niente; e l’innamoramento è quello che vede nella figlia, mentre le sembra che tra Mia e Alex manchino cose importantissime come ideali, stili di vita, principi, background comuni. Per quanto riguarda me, penso che per passare una vita insieme, ammesso e non concesso che quello debba essere l’obiettivo del “vero amore” (e poi: che cos’è, il vero amore? Non sono sicura di saperlo), si debba essere soprattutto ottimi amici. Rispettarsi e stimarsi, divertirsi insieme, avere a cuore il bene dell’altro».
Ultima domanda: per quale Alex Winter in carne ed ossa farebbe follie Alessandra Montrucchio?
«Sono decisamente portata a innamorarmi degli Alex Winter esistenti al mondo, purtroppo. Dico “purtroppo” perché si tratta di persone con un fuoco interiore così forte, dominate da una passione talmente intensa, che star loro accanto – e insieme – è molto, molto difficile. Mai noioso, arricchente, ma spossante e spesso frustrante: bisogna essere molto maturi, equilibrati e sicuri di sé per accettare di occupare sempre, ben che vada, il secondo posto. (Perché il primo posto degli Alex Winter reali sarà sempre e comunque occupato da quella passione, e di conseguenza da loro stessi). In gioventù ho avuto una grande passione per Marian Gold, il cantante degli Alphaville, band che non a caso mi ha ispirato il titolo del romanzo e insegnato parecchie cose sulla musica a Berlino nei primi anni Ottanta. E oggi, lo sai: farei follie per Yuzuru Hanyu, il campione giapponese di pattinaggio artistico. Guardarlo pattinare, anzi, danzare e volare sul ghiaccio, animato in ogni fibra del suo essere dal fuoco di cui dicevo, mi commuove fino alle lacrime».
Grazie di cuore, Alessandra, per averci concesso questa bella chiacchierata sul tuo romanzo. E grazie soprattutto per aver scritto Forever Young. Che voi siate adolescenti del 2017 o del 1980 non possiamo che consigliarvene la lettura.
CHI E’ L’ AUTRICE DI “FOREVER YOUNG”
Alessandra Montrucchio è una scrittrice torinese.
Prima di Forever Young ha pubblicato diversi romanzi tra i quali ricordiamo: Cardiofitness (1998), da cui è stato tratto l’omonimo film del 2007; Macchie rosse (2001), che racconta l’estate dolceamara di un gruppo di “amici del mare” nel 1984; E poi la sete (2010), thriller post apocalittico che racconta di un futuro segnato dalle conseguenza di una catastrofe climatica.
Oltre ad essere scrittrice è anche traduttrice, ama i cani, la danza e la musica.