Indice dei contenuti
Si è conclusa pochi giorni fa l’ottava edizione di Modena Play, punto di riferimento annuale per tutti gli amanti di board game, GdR, LARP, giochi di miniature e tradizionali. Le cifre di questa edizione, recentemente pubblicate sul sito ufficiale della manifestazione, sono le più alte di sempre: oltre 30000 ingressi, migliaia di eventi ludici, centinaia di stand e tavoli di gioco dedicati alle ultime proposte del mercato GdR e Board-game italiano e internazionale. Numeri che crescono di anno in anno e che rendono la fortunata convention il più importante evento interamente dedicato al gioco da tavolo della penisola.
E’ del resto evidente a chiunque abbia partecipato alla due-giorni che Modena Play presenta, almeno allo stato attuale, caratteristiche tali da renderla un’esperienza ludica persino superiore a quanto offerto negli ultimi anni da Lucca Comics & Games. Il principale punto di forza rispetto alla controparte lucchese è senz’altro il rapporto tra i tavoli da gioco a disposizione e il numero dei visitatori: i padiglioni di Modenafiere risultano infatti più adeguati, per capienza e sistemazione degli spazi, a contenere la mole di giocatori interessati a provare le ultime novità rispetto al pur gigantesco tendone del capoluogo toscano, eretto ogni anno a ridosso del baluardo S.Maria e immancabilmente soggetto a lunghe attese, code interminabili e – specie negli ultimi anni – chiusure anticipate.
Una fiera “giocabile”
Una maggiore vivibilità che, è bene chiarirlo fin da subito, non dipende unicamente dai numeri: è senz’altro vero che, rispetto al mezzo milione di curiosi attirato ogni anno dalla kermesse lucchese, i trentamila visitatori di Modena Play sembrano poca cosa. Al tempo stesso, però, risulta evidente come la fiera emiliana sia organizzata in modo da semplificare la vita – e il divertimento – del giocatore e non, o perlomeno non solo, a staccare il maggior numero possibile di biglietti.
La prima differenza che salta all’occhio è la disposizione dei tavoli da gioco. Non colpisce il fatto che siano tanti, quanto piuttosto la corretta gestione degli spazi e delle sedie intorno ad essi. Il giocatore esperto di fiere conosce bene la differenza tra non potersi sedere – problema imputabile al numero dei visitatori – e non poter giocare in modo decente a causa di un tavolo avente dimensioni inadeguate o, peggio, posizionato in un punto scomodo o altrimenti inadatto al gioco. L’impressione è che gli organizzatori abbiano curato questo aspetto nel modo opportuno, approntando una serie di spazi ludici in grado di garantire una esperienza soddisfacente.
Mappa della Fiera
La fiera era organizzata in tre padiglioni principali (A, B e C) più una serie di spazi allestiti nei dintorni dell’ingresso e della cosiddetta “galleria”, ovvero un grosso spazio al primo piano dedicato prevalentemente ai tornei e finali di campionati ufficiali. di giochi come (in questa edizione) Risiko! Challenge e Star Wars: Armada.
Padiglione A
Il punto di forza della fiera: un enorme padiglione interamente dedicato ai giochi da tavolo, suddiviso in una serie di stand delle principali case editrici e distributori (Asterion Press, Cranio Creations, Raven Distributions et. al) ciascuno con uno spazio più o meno grande di tavoli da gioco in cui provare le ultime novità. Al centro del padiglione, in posizione assolutamente privilegiata, gli stand delle principali associazioni culturali intervenute, con un vastissimo numero di tavoli dedicati al gioco libero: particolarmente vistosi gli spazi dedicati ai partner organizzativi, 3M e Tana dei Goblin, i cui volontari hanno messo a disposizione una considerevole mole di giochi per partite e dimostrazioni: assieme alla scatola del gioco scelto veniva anche data la possibilità di usufruire dell’aiuto di esperto per ricevere le spiegazioni del caso.
Stante l’impossibilità di descrivere tutti i giochi presenti, mi soffermerò su quelli che io e i miei compagni di viaggio siamo riusciti a provare.
Dead of Winter
La versione italiana di Dead of Winter, presentata in anteprima assoluta allo stand Raven Distributions, ha subito attirato la mia attenzione: si tratta di un gioco presente nella mia wishlist personale da quasi un anno, che non ero riuscito a trovare a Lucca e che speravo vivamente di poter provare.
Il gioco si è rivelato pienamente all’altezza delle aspettative: un cooperativo “con traditore” tematizzato in modo eccellente ed estremamente originale dal punto di vista delle meccaniche di gioco. I giocatori interpretano un gruppo di sopravvissuti a una classica catastrofe Zombie che sono riusciti a barricarsi in una sorta di rifugio “sicuro” costruito al centro di uno sperduto paesino innevato. Lo scopo del gioco, oltre a sopravvivere alla fame, al freddo e all’aggressività dei morti viventi, è realizzare un obiettivo determinato casualmente evitando di incorrere nel sabotaggio dell’eventuale traditore. Per far questo è necessario intraprendere delle sortite al vicino villaggio, affrontare gli zombie eventualmente presenti nelle location di interesse, cercare oggetti: è anche possibile recuperare altri sopravvissuti che rinforzeranno il nostro gruppo – a patto di avere cibo necessario per nutrirli – o imbattersi in una serie di imprevisti che costringeranno il singolo o gruppo a prendere decisioni difficili. Questa ultima possibilità è simulata dalle carte Crossroads, che costituiscono una delle principali innovazioni del gioco. Si tratta di un mazzo di carte che descrivono eventi destinati ad attivarsi solo se il giocatore di turno compie una determinata azione: il compito di pescare, leggere ed eventualmente gestire gli effetti della carta è affidato a un altro giocatore, che di fatto diventa una sorta di “Game Master” temporaneo. Pur avendo giocato solo a una breve partita dimostrativa posso testimoniare che la meccanica risulta particolarmente azzeccata, specie in un gioco di questo tipo. La possibilità di imbattersi in un Crossroads toglie al giocatore la sicurezza tipica dei giochi cooperativi, rendendo il turno di gioco più avvincente. I nostri poveri sopravvissuti si sono più volte trovati costretti a cambiare i loro piani o ad avere a che fare con situazioni di gran lunga più rischiose – o più remunerative – di quanto inizialmente previsto.
Le meccaniche alla base dei turni di gioco sono piuttosto simili a quelle di pilastri del cooperative game, Shadows over Camelot e Battlestar Galactica in primis: carte evento più o meno negative alla fine di ogni turno, che costringeranno i giocatori a scegliere tra eventi nefasti e collette quasi altrettanto dolorose; location più o meno pericolose da visitare ed esplorare alla ricerca di armi, medicamenti o oggetti utili; gestione condivisa degli spazi comuni; etc.
Particolarmente soddisfacenti il package della versione italiana, che prevede un set di miniature di cartone ottimamente disegnate e dall’aspetto piuttosto robusto, e l’artwork in generale, che ricorda un pò lo stile del videogioco The Last of Us: non avendo letto tutte le carte mi è sembrata più che accettabile anche la traduzione, curata e rispettosa dell’atmosfera.
La scelta di iniziare con Dead of Winter si è rivelata essere un vero colpo di fortuna: trattandosi dell’unica copia esistente in lingua italiana, durante la nostra partita dimostrativa il tavolo ha ricevuto una quantità di prenotazioni tale da renderlo indisponibile per l’intera fiera.
Per maggiori informazioni su Dead of Winter è possibile consultare la scheda su boardgamegeek.com.
Dwarfest
Sempre allo stand Raven abbiamo provato Dwarfest, modesto ma divertente gioco di ambientazione fantasy in cui si simula la gestione di una taverna. I principali avventori sono ovviamente i nani, dei quali il gioco sottolinea la tendenza a bere birra e a perdere le staffe quando questa non è disponibile.
La partita è scandita da una serie di draft in cui ciascun giocatore, dopo aver acquistato tavoli e materia prima, pesca un numero di carte adeguato alla popolarità della sua taverna: ciascuna carta indica un numero di nani, fortemente variabile (da 3 a 10), che manifestano l’intenzione di voler essere serviti. Ciascun giocatore dovrà fare del suo meglio per metterli a sedere – fino a esaurimento tavoli – e aprire un numero di botti di birra sufficiente a dare da bere a tutti. I nani che non riusciranno a entrare o ad essere serviti, oltre a proporsi come clienti agli avversari, faranno scendere la popolarità della taverna. Una simpatica particolarità del gioco è costituita dalle prove di abilità che occorrerà superare per servire i nani che, impossibilitati a sedersi ai tavoli, si avvicenderanno al bancone. Occorrerà infatti spingere con un rapido movimento del dito un boccale, rappresentato da un token color malto e posizionato su una piccola pista di cartone, in modo da farlo arrivare all’interno di un’area delimitata. Non raggiungere – o oltrepassare! – la zona designata significherà non soltanto sprecare dell’ottima birra, ma provocare l’ira del nano che resterà a bocca asciutta. Provocare l’ira di troppi nani comporterà seri problemi alla locanda: tavoli rotti, botti prese d’assalto, cameriere e ballerine terrorizzate e così via, fino a compromettere pesantemente l’incasso della serata. Al termine della partita, il giocatore che sarà riuscito ad accumulare più soldi sarà dichiarato vincitore.
Al di là di alcuni difetti, sicuramente perdonabili in un gioco leggero e senza pretese eccessive, la partita che abbiamo fatto è stata molto divertente. Le principali debolezze che abbiamo riscontrato sono:
- elevatissima aleatorietà del drafting. Il numero di avventori pescati all’inizio di ogni turno è estremamente variabile: è quasi sempre possibile pescarne pochissimi o un numero esorbitante. Trattandosi della principale fonte di guadagno (e quindi di punti) del giocatore, questo può portare a partite estremamente sbilanciate, specialmente nei turni iniziali dove è fondamentale reinvestire tutto l’incasso per sviluppare la locanda.
- sviluppo eccessivamente proporzionale della race. Il gioco simula fin troppo bene una grande verità del commercio: chi fa più soldi tenderà a fare sempre più soldi, riducendo nel contempo il fattore rischio. Chi ne fa meno ha la scelta di prendere rischi enormi o di arrendersi a lottare per il secondo posto… o terzo, o quarto, e così via. Considerando che la verosimiglianza della simulazione dovrebbe comunque essere subordinata alla giocabilità, il gioco avrebbe senz’altro beneficiato dell’introduzione di qualche equalizer volto a tenere in partita i giocatori più sfortunati.
- impatto limitato delle carte evento / personaggio / oggetto che è possibile acquistare. All’inizio di ogni turno i giocatori pescano un pool di carte che hanno poi la possibilità di acquistare: ciascuna carta determina un effetto che a seconda dei casi può incrementare la notorietà o i proventi della locanda, prevenire o impedire una catastrofe, sconvolgere i piani dei giocatori avversari, etc. Il problema che abbiamo riscontrato è che le carte, al di là di alcune eccezioni, non riescono ad essere sufficientemente efficaci per contrastare il gioco altrui e/o per arrestare la corsa del giocatore che si trova in vantaggio. Nella maggior parte dei casi si tratta di carte che, a fronte di un costo X da pagare, provocano al giocatore bersaglio una perdita quantificabile in X+1 e X+3. A fronte della crescita economica delle taverne, l’impatto di questi numeri non sembra essere sufficiente: è probabile che diversi set di carte evento, aventi costo e (soprattutto) impatto crescente per ciascun turno, avrebbero sortito un effetto migliore.
I designer del gioco, distribuito da Raven, sono gli italianissimi ragazzi de Il Barone Games S.r.l. ai quali vanno comunque i nostri complimenti e auguri.
Per maggiori informazioni su Dwarfest è possibile consultare la scheda su boardgamegeek.com.
Concept
Nell’attesa che si liberasse il tavolo di Room 25 abbiamo deciso di passare il tempo con Concept, un party game da 4 a 12 giocatori pubblicato in italia da Asterion Press.
Il gioco ripropone la classica meccanica tipica dei guess-game con alcune interessanti innovazioni: i giocatori, divisi in squadre, dovranno indovinare a turno una definizione più o meno difficile (un personaggio famoso reale o di fantasia, il titolo di un film o di un libro, un proverbio, etc.) sulla base di una serie di associazioni tra varie icone disegnate sulla plancia di gioco. Tali associazioni verranno approntate dai giocatori della squadra che sceglie la definizione piazzando una serie di bandierine e altre pedine colorate sulle icone stesse, evidenziando un elemento principale (bandierina) e una serie di elementi secondari ad esso correlati (le pedine). Ciascuna icona ha un significato piuttosto preciso, che può acquisire un senso letterale o simbolico a seconda dell’importanza che le viene attribuita mediante l’associazione.
Ad esempio, per indovinare Napoleone Bonaparte è possibile piazzare la bandierina nera sull’icona personaggio storico (elemento principale), una pedina nera sull’icona della morte (elemento secondario correlato), la bandierina verde sull’icona relativa al sesso maschile (elemento principale), una pedina verde sull’icona del soldato/militare (elemento secondario correlato), un’altra pedina verde sull’icona piccolo/basso (elemento secondario correlato), e così via. Il giocatore che indovina la parola farà guadagnare un punto alla propria squadra e due punti per sé.
Concept è un simpatico passatempo senza troppe pretese, probabilmente migliore dei molti giochi analoghi oggi presenti sul mercato per via dell’immediatezza del sistema a icone e bandierine proposto. Ci sembra però totalmente da rivedere il sistema di attribuzione dei punteggi: un gioco del genere non può prescindere da una ricompensa in punti da destinare alla squadra che prepara gli indizi, eventualmente subordinata al rispetto di una componente temporale (clessidra, cronometro, etc.) così da motivare la totalità dei giocatori coinvolti. Ci sentiamo inoltre di esprimere qualche perplessità sulla realizzazione delle icone e sull’artwork in generale, che risulta freddo e non molto ispirato. Il tabellone potrebbe beneficiare di disegni più curati e, soprattutto, maggiormente omogenei tra loro.
Per maggiori informazioni su Concept è possibile consultare la scheda su boardgamegeek.com.
Room 25
Quarto gioco provato nella giornata di sabato: Room 25 sfrutta l’ormai conclamata popolarità del genere “Reality col morto” tanto cara a film e romanzi raramente degni di nota e sempre meno originali. Nonostante il gioco sia del 2013, anno della consacrazione di The Hunger Games e Sword Art Online, la fonte di ispirazione principale del gioco è molto più antica: impossibile non notare le numerose affinità con Cube – Il Cubo, il capolavoro indipendente che nell’ormai lontano 1997 definì gli standard del genere. L’omaggio al film di Vincenzo Natali è evidente fin dalle premesse: un gruppo di personaggi neanche troppo attraenti si trova invischiato in una sorta di reality/esperimento sociale all’interno di una enorme struttura metallica divisa in stanze semoventi. L’obiettivo, neanche a dirlo, è quello di raggiungere l’unica stanza che consente di uscire vivi, facendo però attenzione alla possibile presenza di uno o più traditori che avranno tutto l’interesse ad impedire che ciò accada.
Come avrete già immaginato Room 25 è un cooperativo con traditore (spesso più di uno): non sono previste carte evento o spazi d’azione comuni, si tratta per lo più di scoprire la via di uscita, evitando le numerose stanze-trappola dagli effetti più o meno catastrofici e cercando di scoprire i traditori prima che questi abbiano modo di sabotare il piano di fuga. Una particolarità interessante del sistema è che la coppia di azioni che ciascun personaggio può compiere ad ogni turno vengono determinate sulla base di una mini-pianificazione tattica che ciascun giocatore opera in segreto all’inizio dello stesso, scegliendo due tra le seguenti possibilità: entrare in una stanza, osservare senza entrare, spingere in una stanza, muovere una fila di stanze, non fare nulla. Le azioni sono vincolanti, nel senso che una volta scelte devono essere obbligatoriamente effettuate a meno che non sia materialmente impossibile farlo. Questa meccanica “a cascata” porta non di rado ad errori di pianificazione che portano nel migliore dei casi a perdere tempo prezioso, ma possono persino provocare la morte di un giocatore: la frequente difficoltà di capire la differenza tra atto doloso ed errore in buona fede fornisce spesso un buon alibi ai traditori, che non a caso ci sono sembrati fortemente avvantaggiati – perlomeno in una partita a 6 giocatori.
Il gioco, senza dubbio interessante, non è esente da un paio di difetti che a nostro avviso ne compromettono la longevità:
- tanto l’elevata casualità del processo di generazione del labirinto quanto le necessarie scelte “alla cieca” che i giocatori sono chiamati a compiere all’inizio possono influenzare notevolmente l’outcome della partita, rendendo in taluni casi quasi impossibile vincere.
- il gameplay è estremamente semplice, cosa che può essere un grande vantaggio per chi ha poca dimestichezza con i giochi di questo tipo ma limita fortemente la profondità della partita. Nella maggior parte dei casi la pianificazione si riduce nell’ottimizzazione dei movimenti e delle “spiate”, sperando di trovare presto la strada giusta e – soprattutto – di non essere pesantemente sabotati dai traditori.
Resta in ogni caso un acquisto consigliato per gli amanti del genere cooperative con traditore e per chiunque sia alla ricerca di un gioco semplice e leggero da proporre a gruppi mediamente numerosi (fino a 6 giocatori). L’autore ha inoltre cercato di rendere il gioco più longevo pubblicando recentemente un’espansione, chiamata Room 25 – Season 2, in cui vengono introdotte nuove stanze, nuovi poteri speciali e la possibilità di compiere tre azioni una volta per partita.
Per maggiori informazioni su Room 25 è possibile consultare le schede del gioco base e della season 2 su boardgamegeek.com.
Glass Road
Per la quarta prova ci spostiamo allo stand Cranio Creations dove abbiamo modo di provare l’ultima fatica di Uwe Rosemberg, il geniale autore di Agricola e Le Havre: anche questo gioco, interamente tradotto in italiano, era disponibile fin dalla scorsa edizione della fiera. Glass Road è un gioco che rende onore ai 700 anni di tradizione Bavarese di lavorazione del vetro, ponendo una particolare enfasi alle modalità di lavorazione artigianale. I giocatori hanno il compito di gestire una attività autonoma di produzione del vetro sfruttando a proprio vantaggio le molteplici risorse fornite dalla foresta Bavarese, lungo la quale si snoda la Strada del Vetro che dà il nome al gioco.
La meccanica di gioco è piuttosto semplice: la partita si snoda attraverso 4 turni. All’inizio di ciascun turno ogni giocatore sceglie segretamente 5 carte azioni tra quelle disponibili (uguali per tutti), piazzandone quindi una coperta di fronte a sé. A partire dal primo giocatore la carta viene scoperta: tutti i giocatori che possiedono quella carta senza averla posta di fronte a sé hanno l’obbligo di giocarla a loro volta. Se questo accade, tutti i giocatori che hanno giocato la carta (ivi incluso il giocatore di turno) hanno la possibilità di svolgere una delle due azioni descritte dalla carta stessa. Nel caso in cui nessun giocatore possieda quella carta il giocatore di turno potrà effettuare, da solo, entrambe le azioni.
Le azioni ricordano molto gli altri giochi di Uwe Rosemberg e il gameplay tipico della building race di scuola tedesca: raccolta di materie prime, lavorazione delle stesse per produrre semilavorati, costruzione di edifici che forniscono a seconda dei casi vantaggi produttivi, opzioni strategiche extra, azioni aggiuntive e/o punti. Inutile dire che l’interazione è, come (quasi) sempre in questi casi, piuttosto scarsa: l’unico modo per impedire a un giocatore di portare avanti il suo gioco è cercare di indovinare le carte che intende giocare e agire di conseguenza oppure portargli via gli edifici chiave – con l’ovvia conseguenza di condizionare negativamente i propri piani.
La grafica e il layout sono di buon livello, ma le icone che rappresentano gli effetti, i costi di costruzione e le materie prime sono davvero molte e spesso tutt’altro che intuitive: il rischio di confondersi – o di perdere tempo a consultare il manuale – è ulteriormente accentuato dal fatto che il gioco è totalmente privo di testi per evitare la necessità di traduzioni. I maggiori difetti si riscontrano tuttavia sul piano del gameplay e sulle possibilità strategiche offerte. Tanto per cominciare, la possibilità che qualcuno possa giocare o meno una delle nostre azioni costringe il giocatore a rivedere al ribasso ogni velleità tattica: l’impossibilità di prevedere con certezza i materiali che riusciremo a raccogliere e/o i tempi e i modi in cui avremo accesso alla possibilità di costruire edifici rende estremamente difficile ogni pianificazione di medio periodo. Il risultato è che si tende a giocare alla giornata, svolgendo l’azione che sembra più conveniente nell’immediato nella speranza che la sorte (leggi, le carte altrui che – forse – metteranno in gioco le nostre) ci consenta di fare qualcosa di più prima che il turno finisca. Questi difetti sono ulteriormente accentuati dalla mole di informazioni che si dipana sulla plancia di gioco nel corso dei vari turni: mi riferisco in particolare alla quantità enorme di edifici che è possibile costruire, molti dei quali non hanno alcun senso stante l’impossibilità di poterli sfruttare a dovere nei pochi e spesso imprevedibili turni previsti.
Particolarmente scomoda risulta poi essere la ruota delle risorse, lo strano e macchinoso marchingegno con cui ogni giocatore deve tenere nota dei materiali in suo possesso. Il sistema, di indubbia originalità, tenta di riprodurre la trasformazione delle materie prime in materie lavorate per mezzo di un indicatore che ricorda le lancette di un orologio, senza però sortire l’effetto sperato.
In definitiva Glass Road ci è sembrato un esperimento non del tutto riuscito, apprezzabile nel suo dichiarato intento celebrativo ma nulla di più.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la scheda del gioco su boardgamegeek.com.
Wir Sind Das Volk!
“Noi siamo il popolo!” Così tuonavano i dimostratori della Germania Est nel 1989. Il celebre slogan è stato ripreso come titolo di questo avvincente 2-player game ispirato agli eventi occorsi tra le due Germanie durante i quarant’anni di guerra fredda che anticiparono il crollo del muro di Berlino. E’ stato il primo gioco che abbiamo provato domenica e, insieme a Dead of Winter, quello che ha ricevuto il maggior numero di apprezzamenti da parte nostra.
Dopo una rapida e sommaria spiegazione ci siamo divisi in due squadre per immergerci nel setting, particolarmente affascinante per chi come noi è appassionato di film e romanzi ambientati ai tempi della cortina di ferro. Il gioco è uno strategico card-driven fortemente orientato alla pianificazione. I due giocatori, al controllo delle due Germanie, sono chiamati a sovrastare l’avversario mediante una serie di scelte politiche e (soprattutto) economiche. La modalità di gioco è piuttosto semplice: i giocatori scelgono a turno una carta da giocare, scegliendo tra quelle disponibili all’interno di un pool condiviso oppure giocandone una dalla propria mano personale. Ciascuna carta può essere utilizzata per far entrare in gioco gli eventi descritti, che solitamente migliorano o peggiorano le sorti di una delle due Germanie, oppure trasformata in risorse per lo sviluppo economico/industriale, togliendo così all’avversario la possibilità di sfruttarla a proprio vantaggio. Quando le carte condivise si esauriscono termina una delle quattro decadi in cui è suddivisa la partita: la fine di una decade attiva una serie di effetti e conteggi volti a confrontare le condizioni politiche ed economiche delle due Germanie e ad assegnare bonus o penalità a seconda dei rispettivi traguardi. Questa fase, fortemente influenzata dalle azioni effettuate scegliendo e giocando le carte, costituisce il fulcro del gioco. Al termine dei conteggi – e dei relativi aggiornamenti sul tabellone – inizia una nuova decade, che prevede un nuovo pool di carte condiviso e altre carte personali.
Il termine di paragone più vicino è senza dubbio Twilight Struggle, con cui il gioco condivide la meccanica ad eventi card-driven e la pianificazione politico-strategica. Gli aspetti legati allo sviluppo economico, particolarmente approfonditi, ricordano invece alcune meccaniche di Powergrid: il giocatore è infatti chiamato a sviluppare le proprie fabbriche mediante collegamenti operativi e, nel contempo, bloccare lo sviluppo degli impianti avversari con eventi-sabotaggio ovvero mediante scioperi e sommosse popolari.
A risultare particolarmente affascinante è il fatto che, coerentemente con le premesse del setting, il tabellone è fortemente sbilanciato: le condizioni di partenza dei due giocatori sono molto diverse, così come gli obiettivi e le condizioni di vittoria. Tali differenze si estendono anche ad alcune meccaniche di gioco, come ad esempio quella che simula la progressiva diffusione del comunismo nella Germania Est: quest’ultimo può essere infatti utilizzato soltanto dal giocatore al comando della RDT per incanalare – e in un certo senso “tamponare” – la protesta popolare.
L’unico aspetto negativo che mi sento di riscontrare è relativo alle dinamiche di fine decade, che mi sono sembrate piuttosto complesse anche per via di una serie di eccezioni e particolarità poco intuitive: la necessità dei giocatori di influenzarle nel modo opportuno con un numero piuttosto ridotto di possibili azioni richiede una particolare attenzione ad ogni singola mossa, una buona conoscenza del regolamento e, soprattutto, una certa esperienza: la curva di apprendimento risulta quindi inevitabilmente piuttosto alta. Si tratta del resto di una caratteristica comune ai board game strategici per 2 giocatori, al punto che molti appassionati potrebbero considerarla come un pregio.
Per maggiori informazioni su Wir Sind Das Volk! è possibile consultare la scheda su boardgamegeek.com.
Abyss
Di ritorno allo stand Asterion abbiamo avuto modo di provare Abyss, una delle ultime fatiche di Bruno Cathala (Shadows over Camelot, Senji, Cyclades, Five Tribes) che aveva già destato il mio interesse nella passata edizione della fiera ma che non ero riuscito a provare. Si tratta di un gioco fortemente evocativo che fa dell’ambientazione il suo punto di forza, anche grazie ai bellissimi disegni di Xavier Collette. La scatola, il tabellone e le carte sono ottimamente realizzate, immergendo il giocatore in uno scenario fantasy subacqueo popolato da pesci, conchiglie e murene aggressive sul cui sfondo opera una misteriosa e inquietante coorte di creature.
La meccanica del gioco è estremamente semplice e ruota interamente attorno a una serie di carte numerate da 1 a 5: ciascuna carta appartiene a uno dei quattro colori corrispondenti alle fazioni presenti nel gioco: militare (rossa), politica (blu), economica (gialla) e commerciale (verde). I giocatori possono scegliere se cercare una carta specifica, raccogliere carte scartate in precedenza o acquistare una delle creature disponibili. L’attività di cercare una carta viene condotta attraverso una meccanica di aste che dà la possibilità di accontentarsi di quanto trovato oppure cercare ancora, dando la possibilità agli altri giocatori di acquistare immediatamente la carta che decidiamo di scartare. Le carte scartate e non acquistate in questo modo andranno a formare dei mucchietti di scarti che sarà possibile raccogliere come alternativa alla ricerca. Tanto la ricerca quanto la raccolta degli scarti sono funzionali all’acquisto delle creature, che rappresentano i nobili della coorte subacquea. Ciascun nobile, oltre a valere un certo numero di punti, ha un potere speciale che, a seconda dei casi, si attiva al momento dell’acquisto oppure influenza una fase specifica del gioco: fanno eccezione i nobili appartenenti alla fazione economica, la cui peculiarità è quella di avere un rapporto costo/punti più elevato.
Il gioco prevede poi una serie di meccaniche accessorie funzionali a fasi specifiche del gioco: le perle, utilizzate per partecipare alle aste delle carte scartate durante la ricerca; le chiavi, necessarie per acquistare i territori che conferiscono altri punti e proteggono i nobili che entrano a farne parte dagli intrighi degli avversari cancellando però i loro poteri; le murene, nascoste nel mazzo delle carte da cercare e che, se scoperte durante la ricerca, sarà possibile affrontare in cambio di una ricompensa.
Il gioco, divertente e suggestivo, svolge egregiamente la sua funzione: avvicinare famiglie e giocatori alle prime armi al mondo dei giochi da tavolo con regole semplici, grafica spettacolare e materiali di pregio. E’ inquadrabile a pieno titolo nel recente filone dei giochi francesi degli ultimi anni, più attenti all’atmosfera e alla cura del packaging che non alla longevità o alla versatilità del gameplay. Se cercate qualcosa di simile a Power Grid o Puerto Rico, resterete probabilmente delusi: se invece siete alla ricerca di un modo diverso per far sedere al tavolo genitori, cugini o amici meno addetti ai lavori, Abyss è senz’altro un’ottima scelta: durata contenuta, regole che si spiegano in pochi minuti e sistema “propedeutico” all’apprendimento di meccaniche più impegnative.
Per maggiori informazioni su Abyss è possibile consultare la scheda su boardgamegeek.com.
M400
Il penultimo gioco che abbiamo provato è stato M400, proposta tutta italiana che tenta di affermarsi nel complicato settore dei board-game di strategia e conquista alla RisiKo!/Risk. Il gioco, prima fatica della neonata Creative Sun Games, presenta un packaging di tutto rispetto e un discreto supporto web: sul sito ufficiale, moderno e ben realizzato, è possibile trovare le spiegazioni, il regolamento nelle principali lingue e addirittura un trailer in HD.
Stupisce invece l’assenza, almeno ad oggi, di una scheda del gioco su BoardgameGeek, sito di riferimento della community tavoludica nonché strumento indispensabile per la condivisione di pareri, recensioni, aggiornamenti e materiali di gioco a livello internazionale. Ci auguriamo che gli autori correggano al più presto tale mancanza, a tutto vantaggio della diffusione del gioco e della valorizzazione dell’impegno profuso.
Il gioco, ambientato nel 1400, propone un sistema di interazione totalmente diceless interamente basato sul gioco delle numerose carte che vengono pescate ogni turno e suddivise in tre tipologie: azioni di commercio e pianificazione, da giocare all’inizio del turno di gioco; attività militari, da giocare in conseguenza di conquiste e attacchi; eventi speciali, da giocare prima di passare la palla al prossimo giocatore. A differenza di giochi come RisiKo! il giocatore non dispone di armate vere e proprie bensì di un condottiero (o due, giocando l’apposita carta pianificazione) che è possibile muovere alla conquista di territori ancora non controllati ovvero conquistati in precedenza da altri giocatori. Se nel primo caso la conquista avverrà praticamente in automatico, nel secondo sarà necessario combattere con l’attuale proprietario attraverso una meccanica di combattimento che costituisce uno degli aspetti centrali del gioco.
Il combattimento viene combattuto nel seguente modo: l’attaccante cala dalla propria mano una carta militare dal valore numerico variabile da 1 a 4, alla quale il difensore deve rispondere con una carta analoga del medesimo colore (verde, blu o rosso); entrambi i giocatori hanno quindi la possibilità di rinforzare il proprio fronte giocando carte bonus, che aumentano il valore della propria carta, o carte penalità, che riducono il valore della carta avversario. Le carte di rinforzo possono essere giocate liberamente e secondo necessità, ovvero quando il rapporto di forze pende in direzione dell’avversario. Quando entrambi i giocatori non possono – o non intendono – giocare altre carte, le forze di attacco e di difesa vengono confrontate: l’attaccante ha successo se la somma delle carte giocate per quel determinato colore ha un valore superiore a quello del difensore, in caso contrario lo scontro si risolve in favore di quest’ultimo. Si passa quindi al secondo colore ed eventualmente al terzo, fino a quando uno dei due giocatori non riesce ad aggiudicarsi due scontri e a vincere così la battaglia. In caso di vittoria dell’attaccante egli, oltre a guadagnare immediatamente un punto vittoria, rimuove dal territorio il segnalino controllo del difensore sostituendolo con il suo; in caso contrario non accade nulla.
Sebbene il combattimento costituisca l’elemento dominante del turno, il gioco prevede numerosi altri elementi di interazione tra giocatori: è possibile scambiare qualsiasi numero di carte oppure giocare azioni che consentono di pescare carte dal mazzo o rubarne dalla mano di un altro giocatore, così da potenziarsi prima di un attacco e/o indebolire l’avversario. Alcune carte, come il cavallo e la caravella, consentono inoltre di spostarsi più velocemente per vie di terra o di intraprendere viaggi per mare utilizzando i porti e le rotte previste dalla mappa. E’ infine possibile scatenare eventi di varia natura sul tabellone: attacchi ai condottieri avversari volti a impedirne il movimento, pestilenze che impediscono l’accesso ad alcune regioni della mappa, e così via.
M400 è un gioco indubbiamente divertente che trova il suo principale punto di forza nell’immediatezza del gameplay. La spiegazione dura pochi minuti, sufficienti a entrare nell’ottica e compiere i primi movimenti sul tabellone. I giocatori sono inizialmente separati da una serie di territori indipendenti e facili da conquistare, che consentono di prendere confidenza con le regole di movimento e con le varie tipologie di carte. Man mano che i possedimenti si allargano aumentano il numero delle carte in mano e, di conseguenza, le possibilità di azione.
Il gioco non è tuttavia esente da alcune debolezze che non sfuggiranno all’appassionato di board-game tattici, tra cui:
- la scelta di sostituire l’aleatorietà dei dadi, punto di forza di capostipiti del genere come RisiKo! e Axis & Allies, con le carte non è accompagnata da un sistema di gioco in grado di ridurre l’impatto del caso… anzi! La scelta di suddividere le carte militari in tre diversi colori, la necessità di rispondere “a palo” e l’elevata forbice del valore nominale delle stesse (da 1 a 4) rende i combattimenti quasi altrettanto casuali. L’attaccante, che in RisiKo! è indubbiamente avvantaggiato dal maggior numero di carri armati, incontra paradossalmente meno resistenza nella misura in cui ha la possibilità di conoscere in anticipo l’efficacia dell’attacco che intende portare: al difensore non resta che “sperare di aver pescato” carte altrettanto forti di quel colore, ben sapendo che sarà in ogni caso facile preda di chiunque verrà dopo. Il risultato di tutto questo è che il combattimento risulta senz’altro più deterministico, impedendo al giocatore di compromettere la partita in un singolo turno sulla scia di una serie risultati particolarmente fortunati. Non risolve però il problema principale dei giochi come RisiKo! e Axis & Allies, ovvero di essere clamorosamente dipendente dalla casualità di lungo corso a prescindere dal singolo turno sopra media. Aspetto che, è opportuno ricordarlo, i capostipiti del genere hanno peraltro già ampiamente mitigato mediante l’adozione di nuovi ruleset (rispettivamente, Regolamento Challenge e Low-Luck Combat System).
- il gioco avrebbe senz’altro beneficiato della presenza di un pool condiviso tra cui pescare, scegliere o acquistare carte aggiuntive, o comunque di altri metodi di acquisizione delle carte. Il rischio di trovarsi con una mano inefficiente è infatti piuttosto elevato.
- la modalità adottata per determinare l’ordine di turno, unita alla presenza del tutto imprevedibile di carte eventi che impediscono il movimento e sostanzialmente incontrastabili, può provocare situazioni particolarmente fastidiose.
- La sostanziale assenza di truppe sul tabellone – unità da spostare, casualties da rimuovere etc. – riduce la possibilità di immergersi nell’aspetto prettamente militare del gioco.
Per maggiori informazioni su M400 è possibile consultare il sito ufficiale del gioco.
Richard I
Subito prima di rimetterci in macchina siamo riusciti a provare Richard I, ultima fatica di Andrea Chiarvesio (Kingsburg, Olympus, Kingsport Festival) presentato al Lucca C&G del 2014. Il gioco è ambientato in Inghilterra ai tempi in cui Riccardo Cuor di Leone partì per le Crociate, scontrandosi con i suoi uomini contro l’esercito del feroce Saladino.
I giocatori, da 2 a 8 e divisi in due squadre, interpretano il ruolo dei dignitari di corte rimasti in patria fedeli a re Riccardo oppure a suo fratello, Giovanni Senza Terra, intenzionato ad usurpare il trono. La partita è divisa in turni, nel corso dei quali i giocatori potranno influenzare una serie di funzionari militari, politici e amministrativi (il tesoriere, il capo della guardia, il vescovo et. al.) per influenzare l’esito delle Crociate e il destino del regno a vantaggio della propria squadra ovvero guadagnare i Punti Prestigio che, al termine del gioco, determineranno il vincitore assoluto. Il calcolo del punteggio, pur prevedendo due squadre aventi obiettivi opposti, prevede infatti un solo vincitore.
A conti fatti Richard I è un gioco estremamente semplice e veloce, con molti elementi che lo rendono più simile a un party-game che non a un board-game vero e proprio. Chi conosce Kingsburg o il più recente Kingsport Festival non faticherà a riconoscere alcune somiglianze evidenti con i precedenti lavori di Andrea Chiarvesio: ciascun giocatore sceglie di influenzare uno dei tanti personaggi disponibili, ricevendo in cambio risorse o vantaggi di breve periodo. A differenza dei summenzionati, che prevedono un meccanismo di selezione e di utilizzo delle risorse più o meno elaborato, in Richard I il tutto si riduce all’acquisizione e all’utilizzo di carte colorate che rappresentano positivamente o negativamente i vari aspetti del regno e della Crociata in corso: il tesoro di Re Riccardo, le forze del suo esercito contrapposte a quelle del Saladino, il ritorno in patria del Re.
A complicare il tutto sono presenti alcune carte obiettivo, distribuite all’inizio della partita e collegate agli obiettivi della squadra di ciascun giocatore: queste carte hanno un’importanza strategica notevole poiché assegnano numerosi Punti Prestigio al verificarsi di determinate condizioni al termine della partita, rischiando così di cogliere di sorpresa il giocatore che, pensando di essere in vantaggio, cercasse di accelerare la vittoria (o la sconfitta) della propria squadra.
Il gioco è simpatico, specie se giocato con la plancia in versione “oversize” appositamente stampata per le dimostrazioni da fiera (scaricabile a questo indirizzo). Risente però della semplicità eccessiva delle meccaniche e – soprattutto – della grande aleatorietà rappresentata dalle carte obiettivo in possesso dei giocatori: la consapevolezza che esiste una notevole quantità di punti “nascosti” potenzialmente nelle mani dei nostri avversari, se da un lato rende il gioco più avvincente, dall’altro ne limita drasticamente ogni sorta di pianificazione tattica. Il fatto che i nobili a disposizione siano soltanto 8 peggiora ulteriormente questo aspetto, riducendo ai minimi termini le opzioni a disposizione degli ultimi di mano. Questi difetti di giocabilità, più che accettabili in un party-game puro, non sono trascurabili per un gioco che prevede un massimo di 8 giocatori. A fronte di tutto questo stupisce la valutazione estremamente positiva del sito BoardgameGeek, tale da poter suggerire che il titolo sia in grado di offrire un’esperienza di gioco superiore rispetto a quanto emerso nella partita dimostrativa da noi giocata.
Per maggiori informazioni su Richard I è possibile consultare il sito ufficiale del gioco.
Cappuccetto Rosso non dorme mai
E’ giunto il momento di spendere qualche parola per i giochi da tavolo dedicati ai più piccoli: particolarmente degno di nota questo titolo edito in italia dalla UPlay.it Edizioni, specializzata in giochi a budget contenuto. Il gioco è l’adattamento italiano di Eat me if you can!, firmato dal giapponese Junichi Sato. Si tratta di un card-game da 2 a 6 giocatori dalle regole semplicissime e dall’ambientazione simpatica, pregi che lo rendono particolarmente adatto per giovani board-gamer dai 6 anni in su.
Il gioco si svolge in una serie di turni dove i giocatori si alternano nel ruolo dei protagonisti della storia: il lupo, Cappuccetto Rosso, la mamma dei porcellini o uno dei tre porcellini. Ciascun giocatore, ad eccezione del lupo, sceglie segretamente se far dormire il proprio personaggio oppure fargli preparare una trappola. Il lupo sceglie quindi quale personaggio visitare, nella speranza di non incappare in una trappola: se riesce a sorprendere un personaggio che dorme prende un numero di punti equivalente al suo valore, in caso contrario è il personaggio a prendere punti da lupo. Tutti i personaggi che scelgono di dormire e non vengono disturbati prendono inoltre punti a loro volta.
A conti fatti il gioco è un classico press your luck con elementi di bluff basato sulla deduzione e sull’intuito, fortemente quanto inevitabilmente influenzato dal caso. Consigliato per gruppi di piccoli giocatori e/o per genitori pazienti.
Per maggiori informazioni su Cappuccetto Rosso non dorme mai è possibile consultare la pagina del gioco su BoardGameGeek.com.
Dobble
Secondo titolo dedicato ai più piccini che abbiamo provato, Dobble (versione italiana di Spot it!) è un interessante gioco di pattern recognition pensato per giocatori dai 6 anni in su ma di fatto adatto per tutte le età.
Il gioco presenta 55 carte, ciascuna delle quali presenta 8 diversi disegni disposti in ordine sparso. Il gioco è fatto in modo che ogni coppia di carte abbia un solo simbolo in comune, che i giocatori devono trovare nel più breve tempo possibile.
Per maggiori informazioni su Dobble è possibile consultare la pagina del gioco su BoardGameGeek.com.
Padiglione B
Il lato esterno del padiglione era dedicato ai wargame tattici, con un gran numero di diorami e allestimenti dedicati a scenari storici di ogni tipo, e ai collectible-card-game: a farla da padrone in quest’ultimo settore era Force of Will, con una serie di tavoli dedicata a dimostrazioni e tornei.
Galleria
La galleria, come detto, ospitava i tornei di RisiKo! Challenge e di Star Wars Armada: un notevole allestimento di tavoli dedicati ai partecipanti e agli appassionati.
Verso il Padiglione C
Impossibile non menzionare il piccolo ma estremamente suggestivo spazio che separava il padiglione A dal padiglione C, interamente dedicato ai diorami relativi a wargame e a sistemi strategici di ambientazione futuribile e fantasy. Un vero e proprio spettacolo di tecnica artigiana, come testimoniato dalle foto che siamo riusciti a fare.
Bellissimo articolo. Mi sarebbe piaciuto leggere anche dei voti finali (tipo pagella) per ciascun gioco di cui parli.