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La norma sul Cyberbullismo diventa attentato alla libertà di informazione online

La norma sul Cyberbullismo diventa attentato alla libertà di informazione online

Il ben noto meccanismo parlamentare Italiano ha colpito ancora, mettendoci di fronte all’ennesimo caso in cui una proposta di legge nata per motivi comprensibili diventa strumento di controllo, quando non di repressione. Questa volta è toccato alla proposta di legge C3139, di cui prima firmataria è la senatrice Dem Elena Ferrara. Originariamente la norma doveva occuparsi di Cyberbullismo, prevedendo divieti – e relative sanzioni – volti a contrastare una serie di comportamenti riscontrabili in rete in ottica di tutela del minore. Fin qui tutto ok, ovviamente. Se non fosse che, con il consueto passaggio alla camera e grazie a una serie di ritocchi – per usare un eufemismo – operati dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali, la proposta è stata trasformata nel consueto tentativo di restringere profondamente la libertà di informazione sul web.

La manovra è analoga a quanto già tentato più volte in passato da Silvio Berlusconi e dai suoi amici (Carlucci, Lauro, Romano, Alfano, et. al.) con oltre 10 proposte di legge sul tema in circa 5 anni. Adesso il partito di maggioranza è cambiato, ma il rispetto per i diritti del popolo della rete è rimasto lo stesso: l’unica differenza è che chi prima gridava allo scandalo adesso tiene la bocca chiusa, e viceversa.

In questo caso la manovra oltre ad essere ampiamente discutibile sul piano normativo ha anche degli aspetti comici, in quanto cerca di distorcere ad arte il significato della parola Cyberbullismo per piegarlo alle volontà strumentali del legislatore. In dettaglio:

Il disegno di fondo è evidente: la norma, facendosi scudo del termine Cyberbullismo, si trasforma nel consueto strumento di repressione auspicato da anni da qualsiasi personaggio dotato di una certa notorietà – politici e amministratori in primis – per difendersi dal giudizio dell’opinione pubblica.

Un esempio particolarmente illuminante di questa intenzione è dato dall’emendamento proposto al comma 2-bis, vero e proprio capolavoro di pressappochismo terminologico misto a meschinità di intenti:

“Ai fini della presente legge, con il termine ‘cyberbullismo’ si intende qualunque comportamento o atto, anche non reiterato, rientrante fra quelli indicati al comma 2 e perpetrato attraverso l’utilizzo della rete telefonica, della rete internet, della messaggistica istantanea, di social network o altre piattaforme telematiche. Per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operate mediante mezzi informatici e rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, nonché pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima”.

 

 

 

Inutile dire che le sanzioni previste non fanno alcuna distinzione tra le molteplici tipologie contenute nel poliedrico contenitore a cui è stato dato il nome di “Cyberbullismo“: per ciascuna di esse valgono la rimozione e oscuramento dei contenuti e l’applicazione di una sanzione che prevede sino a 6 anni di carcere. Chi potrà richiedere la cancellazione? Chiunque, ovviamente, come nella migliore tradizione delle proposte di legge di ForzaItalica memoria: spetterà poi al Garante della Privacy, forte della sua indubbia esperienza su Cyberbullismo e diffamazione, dar seguito a queste richieste.

Cosa significherà tutto questo, nel momento in cui diventerà legge? Semplice: che qualsiasi attività di critica fatta su social network, webzine di informazione e testate online potrà essere combattuta dal diretto interessato che, novella vittima di Cyberbullismo, potrà richiederne la rimozione. Una richiesta che inevitabilmente verrà fatta spesso in modo informale, ovvero dietro la minaccia di denunciare la cosa al Garante della Privacy: in altre parole, una pistola carica puntata alla testa di qualsiasi libero pensatore.

La ciliegina sulla torta su questo ennesimo caso di censura online è stata messa dai relatori alla Camera Micaela Campana e Paolo Beni, anch’essi PD, i quali hanno personalmente proposto e ottenuto l’approvazione di una nuova norma (articolo 6 bis della proposta) la quale prescrive, oltre al carcere fino a 6 anni, anche la confisca di tutti i beni e i mezzi utilizzati per commettere il reato: in altre parole PC, portatile, modem e chissà cos’altro.

Il tutto, ovviamente, mentre il Cyberbullismo – quello vero, che porta alla depressione e talvolta persino alla morte centinaia di ragazzi ogni anno – resta sullo sfondo, elemento residuale di una norma evidentemente pensata per ottemperare a tutt’altro scopo. Ironicamente, le prossime “vittime di Cyberbullismo” a cui ci toccherà assistere saranno con tutta probabilità persone del calibro di Berlusconi, Montezemolo, Napolitano, nonché ovviamente Renzi e Boschi.

Un applauso ai parlamentari Baroni, Lorefice e Agostinelli (M5S) che hanno tentato di ripristinare la norma originaria riportandone il focus sulla tutela dei minori, sulle attività di supporto e sostegno, sulle modalità investigative atte a prevenire questi abusi: insomma, tutto quanto servirebbe davvero per sconfiggere questa piaga. Ovviamente non stupisce che i loro sforzi, per lo meno fino ad oggi, sembrano essere stati inutili: alla Camera sembrano molto più interessati ad approfittare del vento buono per sanzionare “come si deve” il “denigratore” di turno.

 

Fonti: Il Blog delle Stelle, Il Fatto Quotidiano.

 

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